mercoledì 27 luglio 2016

Pendulum

"Sapete cosa davvero mi prende del bondage giapponese? Se non si conosce la storia del Giappone tutto sembra solo un esercizio noioso di macramé più o meno estetico ma - appena si gratta la crosta delle foto patinate che ormai rigurgitano da Facebook e dai vari gruppi più o meno chiusi, segreti o segretati - ecco che viene a galla una realtà che ha la forza e il sangue del sadomaso in tutta la sua sensualità e sessualità".

La coppia che ho davanti, nella semioscurità del dungeon, sembra (è) perplessa. Insomma, sono venuti da me per una tuition privata di bondage pensando ad un asceta del cordame, una sorta di santone della canapa e si trovano ad interloquire con un pervertito del sadomaso, un tranquillo, pacifico e serafico seviziatore.



Non che la cosa dispiace, soprattutto a lei, anzi. Un po' intimoriti dall'aura di "maestro" che gli amici mi appiccicano addosso durante le feste (almeno pronunciatelo bene sto "sensee"! Si prolunga la e finale, "sensei" è una cosa che non si può sentire!!) si erano presentati durante una serata dell'Ultimo Lunedì e lei era finita, ovviamente, legata e felice sotto gli occhi famelici del suo compagno.

Mi avevano chiesto una tuition privata, una cosa come un corso in dungeon perché durante le domeniche pomeriggio proprio non ce la facevano a partecipare ai workshop.

Evvabene, in fondo mi faceva anche piacere collaborare con la coppietta che veniva fresca fresca dal mondo scambista un po' cuckold che sta al di là del mare oceano delle perversioni. Poi si vedeva che l'esibizionismo di lei era solo un modo "eroico" per mascherare un masochismo che non ce la faceva più a stare chiuso tra i ferretti del reggiseno e la pelle, tra la lingua e la glottide.

Prima che scoppiasse il tutto bisognava aprire la diga ma in condizioni di tracimazione controllata. Non so se mi spiego.

"Però" mi dice lui, prendendo un po' di fiato "l'altra sera questa cosa, dico, del sadomaso, mica si vedeva".

Sorrido e faccio finta di non aver colto una sorta di compatimento negli occhi di lei. Mica si vedeva, certo, mica si doveva vedere. Le corde le ho strizzate dopo, in separata sede, quando tu eri già a casina a dormire, più o meno.

Faccio lo gnorri.

"Diciamo che l'altra sera ero in pubblico e non conoscevo bene Angela, non sapevo dove potevo arrivare e non conoscevo te, magari ci restavi male …"

Ma volete darlo il tempo alle vostre compagne di rispondere, cazzo?

Le taglia la strada come un siluro, "… ma guarda che per me potevi fare tutto quello che volevi …"

Angela, che ha aperto bocca per rispondere, la richiude e se la serra. Spero non per sempre perché ha labbra carnose e disegnate per stare morbidamente dischiuse, ma tanto morbidamente. Presente l'immagine? Ecco, così morbidamente.

Si dice sensee, si allunga la e finale e sensei non si può ascoltare, proprio. Per essere Sensee bisogna avere una pazienza infinita. Io ci sto lavorando, davvero, lo giuro. Non so da dove la prendo ma ho tanta tanta tanta pazienza, lo giuro.

"Va bene, cosa fatta capo ha. Ora però siete qui per imparare. Dico, tu vorresti imparare a legare, giusto?"

"Sì, giusto. Ma posso chiederti una cosa?"

"Dimmi … " (si dice sensee … un motivo ci sarà, no?)

"Possiamo fare quella cosa lì, quella cosa che hai fatto l'altra sera, ma tutta, cioè che fai anche sadomaso mentre la leghi e, magari la sospendi anche? Le piacerebbe tanto essere legata nuda e sospesa ..."

Indago negli occhi castani di Angela e ci penso un attimo. Carina la proposta, in qualche modo allettante. Guardo ancora nelle pupille nere e fonde della signora e lei mi sembra ancora più intrigata di me. Forse sono di parte ma mi sembra di vederci scintillare un che di osceno.

Il masochismo lo puoi nascondere finchè vuoi dietro l'esibizionismo ma, prima o poi, ti deve scoppiare fuori e, appena si presenta l'occasione, la deflagrazione si misura in megatoni.

"Ok, sarebbe bello, ma oggi siamo qui per la tuition, bisogna seguire un programma e starci a ruota" …

Delusione sulle faccette dei due, adoro quando posso deludere le persone, ci godo un sacco.

"Però … ci sarebbe una possibilità …"

Si ravvivano; che bello avere tra le mani due marionette che posso gonfiare e sgonfiare a mio piacimento. Poi ditemi che fare bondage è noioso. Su, su, ditelo!!

"Oggi è venerdì e stasera al Nautilus c'è una serata Tuttifrutti, si può partecipare e fare quello che si vuole, ci sono trans, scambisti, coppie varie ed eventuali e anche chi ama far girare corde può farlo …"

Ora le mie marionette sono diventate dei veri soldatini della perversione. Occhietti che luccicano libidine e una sorta di esaltazione mistica che parte dall'inguine e si riversa alla gola.

"Ci possiamo andare dopo la tuition? Sei impegnato? Puoi venire con noi?"

"Direi di sì dal momento che ve l'ho proposto. Ora iniziamo la lezione, punto primo, sicurezza, hai comprato le forbici che ti ho fatto vedere?"
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Tempo fa una mia amica mi ha detto "quando finisco una sessione di kinbaku sento il bisogno di … cominciarne subito un'altra".

Una tuition privata non è sicuramente una sessione di kinbaku ma essere legata e legata e ancora legata, nuda a parte un paio di necessarie mutandine e di fronte a due uomini che trattano le corde come signore mentre (te) ti trattano da manichino, un pochino fa, soprattutto se sei lievemente maso e certe disattente attenzioni ti scorrono sulla pelle come unghie affilate, leggere e inoffensive ma maledettamente taglienti.

La luce ambrata del dungeon, il tono delle voci che in modo quasi naturale passa al sussurro, il contatto pelle a pelle, il tepore della stufa che riscalda e spezza l'umidità di un locale che sta comunque rintanato sotto il livello del marciapiede, l'odore d'incenso che arrotonda la percezione del tempo. Sono cose che creano un'atmosfera un po' particolare, un'atmosfera che non è certo quella di una palestra di kung-fu.

Che ogni tanto ad Angela venga la pelle d'oca e che io me ne accorga sta nel conto delle cose. Il suo compagno, Alessandro (chiamiamolo così, via) non lo registra, troppo preso da nodi, passaggi e corde. E' bravino, davvero, lo era allora e adesso lo è ancora di più, uno dei migliori direi, ma zuccone forte con le donne, un vero disastro relazionale.

La fanciulla ogni tanto alza lo sguardo e m'inquadra. Occhi negli occhi mi sembra di sentirla sotto i polpastrelli la sua pelle d'oca, l'eccitazione dell'esposizione, l'imbarazzo di essere bagnata, il piacere di esserlo e di non sapere se io lo so, se lo intuisco, se me ne sono accorto.

La tuition finisce alle sette, ora locale.

Alessandro slega la sua compagna (oddio, devo insegnargli pure a slegare, al ragazzo, sembra che stia spacchettando il regalo di Natale) e io guardo, attento, seduto sulla poltrona in pelle, gli stivali già ai piedi e la camicia già addosso, sulla solita e immancabile maglietta da shibari che metto sempre quando faccio lezione.

"Scusate ma … stiamo andando a cena insieme, vero?"

"Certo!!" risponde in volata Angela prima che il suo Alessandro possa tagliarle la strada un'altra volta.

Brava fanciulla, ha captato qualcosa che sta nell'aria e che non è certo un tentativo di scroccare una cena.

"Hai qualche posto qui vicino da consigliare?"

Si, Alessà, sono la guida Michelin della Zona 6 di Milano, come no?

"Un posto vale l'altro ma, secondo me, ogni posto è carino se Angela non ci sta troppo comoda".

Un bel punto interrogativo sul faccino dei due. Adoro i punti interrogativi, sono di un tenero …

"Ecco, dunque …"

Mi alzo e apro la borsa, raspo tra le corde e ne tiro fuori una rossa fuoco, nuova nuova e appena passata al napisan.

"Posso, scusa?"

Non lo chiedo né all'uno né all'altro, è una cosa così, per dire, mentre mi avvicino (due passi, contateli) alla fanciulla e le metto la corda doppiata intorno alla vita, poi un bel giro intorno e chiusura, via, giù tra le gambe, centrando le grandi labbra sotto le culotte nera di pizzo (siamo bagnatine signorina? Essì che lo siamo) e poi su verso la schiena a chiudere con una frizione sul giro precedente. Fatto un matanawa molto rapido (hip harness? mutandina? fate voi); vado ancora verso l'alto e chiudo una prima fascia sotto il seno, nudo e libero. Ma sono capezzoli eretti questi? Sì? Guardo Angela negli occhi e sollevo il sopracciglio. Il mio sguardo dice "biricchina" il suo dice "bastardo". Ci si capisce al volo, bene.

"Scusa Alessando, mi passi un'altra corda rossa?"

Il ragazzone esegue prontamente e so che adesso ha intuito, anche lui, che il gioco si fa meno "didattico" anche se, in fondo, sto ancora insegnando qualcosa. Pur fuori programma e pur a costo zero. Ma per la gloria e per la diffusione della cultura del bondage questo ed altro.

Alla fine trova la corda nella borsa, me la passa come se fosse un cimelio di guerra, la giunto e continuo. Altra fascia sopra i seni e, infine, incrocio su schiena e tra le poppe (deliziose, sostenute e calde) chiusura a croce e una piccola tensione per esaltare la curva già evidente e pronunciata delle tettine.

Olè!

"Ti da fastidio girare senza reggiseno?"

Angela sorride e si guarda il busto, si volta verso lo specchio e si studia per un attimo.
"Perché, questo che è?"

Punto tuo fanciulla, rido di gusto.

Ma poi ne parleremo, a cena, prima, durante e dopo; anche mentre viaggiamo verso il Nautilus, ne parleremo, sì sì.

"Vestiti, si parte, io aspetto fuori".

Esco e mi siedo sui gradini del dungeon, accendo una paglia e guardo il cielo che già ombreggia il tramonto. Da qualche parte, in giro, nel firmamento, brilla Lucifero il Vespero e illumina di venereo desiderio l'alba della nuova notte. Un po' di romanticismo per allietare le panzersklaven posso mettercelo o no?

Una corda tra le gambe, infilata tra le grandi labbra non dà un gran fastidio se stai in piedi e basta. Se cammini qualche problemino riesce a creartelo. Se ti siedi e quella troia tira tra perineo e passera sfregando sul clitoride la cosa comincia a diventare piuttosto sgradevole, o gradevole, dipende dai punti di vista.

Ho detto (no?) che non sono la guida Michelin della Zona 6 di Milano? Ecco, lo sapete. E ora sapete perché prima di arrivare ad un giapponese decente ho dovuto fare praticamente il giro della città con Angela sul sedile del passeggero e Alessandro dietro, a godersi la scena.

Sembra niente ma quando inizia a tirare, una cordina di canapa sei millimetri, tira come un'indemoniata e, d'istinto, si tende a contorcersi, muoversi, cercare una posizione che sia meno proibitiva e punitiva ma, niente, il sedile di una macchina non è il posto migliore per fare certe evoluzioni, anzi, più cerchi di darti sollievo e più la corda morde, si ribella, ti azzanna.

Angela arriva stremata al ristorante, scende dalla macchina come se avesse tra le cosce una tarantola e si aggiusta la gonna come se a toccarsi il ventre potesse esploderle una bomba atomica tra le gambe.

"Sto crepando, siete dei bastardi …"

Ha gli occhi lucidi di rabbia e di piacere, di umiliazione e di desiderio, di eccitazione e di repulsione.

Mentre chiudo la portiera dell'auto alzo la testolona e le sorrido, serafico, angelico, quasi affettuoso.

"Sushi o sashimi? Però ti avverto, qui il wasabi brucia come l'inferno …"
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Però non era con il wasabi che Angela aveva litigato, durante la cena; anzi, roba fresca al confronto delle corde che le martirizzavano la passera, ad ogni respiro.

In più anche la canapa ruvida sulla pelle delicata intorno al seno aveva iniziato a fare il suo lavoro, ad un certo punto. Ma stare dritta come una deliziosa educanda, la camicetta bianca tirata nei punti giusti e allacciata fino alla gola, la gonna ben stirata sotto il sedere, era diventato una specie di punto d'onore, per lei. Un doloroso punto d'onore che s'era portata fino in fondo, fino al conto, tra qualche sguardo indagatore di clienti incuriositi dalla sua strana rigidità, dei suoi gesti misurati, dei suoi lievi gemiti di dolore ad ogni minimo cambio di postura; fino alla mancia al cameriere e alla discussione filosofica, sul marciapiede, con il venditore di rose, fino al Nautilus e su per i diciassette gradini che portano alla reception del locale.

Povera Angela.

Ora mi guarda con due occhioni grandi grandi e divide la sua attenzione tra le mie pupille e il palo della pole dance oltre la pista, dietro la mia schiena; apprensione e disagio, conditi con un un certo nonsoché di bruciante dolore tra le gambe e intorno alle tette.

"No, dài, ti prego, non farmi fare anche questo …"

Iridi castane e faccino quasi rosso-estintore-rosso, imbarazzo, paura, vergogna ma so che lo vuoi fare, desideri farlo e implori di farlo.

"Su su, che sarà mai? Sali sul palchetto, ti appoggi al palo della pole e io ti tolgo le corde … fine della sofferenza".

Mi guarda come una gattina smarrita; una gattina smarrita con grandi e calde e umide labbra.

"Ma così mi vedono tutti … "
"Appunto" sorrido "altrimenti te le toglievo in bagno, giusto?"
"Ma mi devo spogliare …"
"Appunto" sorrido "altrimenti te le toglievo in bagno, giusto?"
"Ma così mi vergogno …"
"Appunto" sorrido …
"Altrimenti me le toglievi in bagno, ho capito …" sospira, mi guarda un'ultima volta con un'emoticon stampata sul viso: qualcosa come "ti odio amandoti" o "ti amo odiandoti" o "ti odio e basta", non so se avete presente.

A piccoli passi s'avvia al palo della pole, sconfitta più dal desiderio di mostrarsi, nuda, cruda e legata, che dalla mia scricchiolante logica da vecchio pervertito.

Mentre cammina verso il suo destino d'infamia e vergogna, sguardi, tanti sguardi, iniziano a seguirla. Sguardi di donne e di uomini dai divanetti del locale; sguardi di trans, dal bar dove ogni tanto c'è un po' di assiepamento per i saluti alle sorelline appena arrivate; sguardi dai ragazzi dello staff che sanno, più o meno, cosa succederà e tirano tardi in giro, tra tavoli ancora puliti e divanetti ancora lindi, per godersi la scena; sguardi tanti sguardi su di lei, sul suo sedere, sul suo seno, sui suoi passi e lei attraversa la pista, in diagonale, stivali alti e gonna a ginocchio, camicetta biancofosfo sotto le luci discotecare; una suggestione di corde intrecciate intorno al suo busto, sotto il tessuto spesso che abbaglia e riflette promesse.

Allo specchio in fondo alla sala una gran figa, ad occhio e croce. Solo un passo strano, quasi orientale, stretto e contenuto, come se avesse un chilo di wasabi tra le cosce.

Sale con un po' di difficoltà sul palchetto e si posiziona al palo, ci si attacca con le manine curatine e piccine, si piega in avanti quasi a novanta e aspetta.

Lasciamola aspettare ancora un poco.

Me la prendo calma, seguo la scia (è il suo profumo questo? Però! Non lo avevo notato, dolce ma non troppo, buon gusto, devo chiederle cos'è) e finalmente - un passo dopo l'altro, senza fretta e misurandola con lo sguardo mentre mi avvicino - sono al palchetto, un piccolo sforzo per salire e una pacca al suo sederino tondo, leggera e amichevole, lo giuro, leggera e amichevole.

Così è, leggera e amichevole.

Occhi, sempre più occhi guardano la scena, compresi quelli di Alessandro che s'è piazzato sul divanetto dall'altra parte del palo e si rimira la sua Angela da sotto in su, come fosse una Dea pagana.

Le carezzo la schiena e occhi attirano occhi, le prendo il mento tra le mani e le faccio voltare il faccino verso la sala: "hai spettatori, sei contenta?"

"Sei un bastardo …" è un sussurro " però … sì, sono contenta"

Deve ammetterlo, tanto mentire non serve, tra noi.

Le slaccio la gonna: giù la cernierina e il vestiario a tubino diventa un mucchietto di stoffa intorno alle caviglie. Alza i piedini, prima uno e poi l'altro; con un solo calcetto in punta di stivale l'inutile indumento è tra le mani di Alessandro.

Ok, questa è fatta.

E' un brivido? Un brivido vero? Hai i brividi piccina?

Qui e lì qualche mano corre verso le gambe di qualche ragazza e qualche altra mano corre verso il pisello solitario di speranzosi singoli, sulla stoffa un po' spiegazzata di solitari pantaloni.

Show must go on.

Le accarezzo le braccia e le slaccio i bottoncini dei polsi, uno, e poi due.

L'afferro per i capelli e la costringo a mollare il palo, le sto dietro e piano pian piano, una mano che ancora strattona la chioma, le apro i mille bottoni della camicetta (ma quanti cazzo ne hanno cuciti? Mavaffa … !) partendo dalla gola e arrivando fino al fondo; apro i lembi in modo che appaia il cordame tra busto e anche, e, infine, la sfilo ma … lentamente, molto lentamente.

Nuda o quasi, a parte gli stivaloni alti e la culotte (ah, sì, le corde anche, dimenticavo) diventa davvero l'attrazione del locale. Mani frenetiche cercano sessi tra pieghe di gonne e stoffe indurite di calzoni di lana.

Ora si tratta di slegare.

Slegare è un'arte, è un momento in cui davvero viene fuori il bakushi, l'anima dello shibari.
Le corde si staccano dalla pelle, indugiano, strofinano e vibrano, una sull'altra, una sotto l'altra, sulla pelle, tra la pelle, nelle mani che sfiorano e spostano e dirigono e accarezzano e stringono, lasciano, stringono ancora.

Sto alle sue spalle, la sorreggo e la tengo stretta a me, una mano sulla gola, l'altra che si muove leggera e slega corde, scioglie tensioni in piacere, ustiona la pelle.

La musica di una corda che scorre e si ferma, riparte e carezza, morde, si adagia, torna a correre, la sinfonia di sensazioni, leggerezza ed eccitazione.

Occhi che diventano radar, si fissano, e s'incantano sul suo corpo, sul suo corpo e sulle corde che scorrono e, piano, si avvolgono su se stesse ai piedi della Dea pagana.

Al posto delle corde segni rossi che marcano e solcano la pelle chiara. Al posto delle corde le mie mani e le mie braccia, le mie dita che le scavano dentro la culotte, nel bagno d'umori che, ormai, s'è fatto fiume.

"Sei oscena" le sussurro nell'orecchio, la mano ancora alla sua gola, un artiglio leggero, opprimente e invasivo ma dolce di veleno, minacce e promesse

Annuisce soltanto, gli occhi socchiusi come le labbra - finalmente - di nuovo dischiuse sui denti.

"Ti stanno guardando tutti, puttanella" sorrido "non ti vergogni?"

Scuote la testa: certo che no, certo che non si vergogna.

Non più e forse mai più.

Sta ad un passo dal venire, geme e si gusta la sensazione di dare spettacolo di sé davanti a sconosciuti e sconosciute che possono solo guardarla, desiderarla, supplicarne l'attenzione ma in eterno ricordarla come un miraggio inarrivabile, intoccabile, intangibile come un sogno del mattino.

Sta per venire, tra le mie carezze e il vibrato della sua mente perversa che la fa figurare troia in esposizione e Venere da adorare, nello stesso istante, nello stesso luogo, nello stesso corpo. Geme e sussulta, ad un passo dalla conclusione o poco meno.
Peccato che le corde siano finite e siano lì, a terra, come morti serpenti. Sulla sua pelle solo rope marker e il lieve velo di sudore che precede l'orgasmo.

Ora, però, ho voglia di una sigaretta.

"Fatto, ora puoi andare in bagno a fare pipì, sei libera"
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Dave Rickman,  https://rope-topia.com/about/
"Ma, infine, ce l'hai o no?"

Non è che mi sono spazientito ma Diego, il co-proprietario del Nautilus, a volte riesce a tirarmi per il naso, anche più di una decina di minuti, prima di darmi una risposta chiara, almeno intellegibile.

E' fatto così, ama prendermi per il culo. Ogni spesso.

Comunque, alla fine, riesco a metterlo alle strette e, non so come, gli strappo l'informazione che mi serve.

"E' nella valigetta nera, guardaroba, dietro la porta. Riportamela pulita … "

Sì, ok, tanto lo sai che lavo e disinfetto tutto prima di usarlo e dopo usato.

Ci metto più di dieci minuti, in bagno, con acqua corrente e quel tanto che basta di disinfettante-antibatterico-funghicida-ammazzatutto.

Fatto il lavoro sporco, torno nella dressing room con la valigetta (ehi, è very professional così; che vi credete? Sono uno che s'è preso una laurea masteritudine … io!) e un sorriso da "bastardo dentro" stampato sulla faccia.

Angela s'è rimessa gonna e camicetta. Scommetto che le culotte le ha lasciate in borsa, piccola troietta esibizionista senza ritegno.

"Fatto, preso il necessario, possiamo iniziare …"

Mi guarda, persa come una lucciola senza lampioni

"Qui? Ma, non mi dovevi sospendere in mezzo alla sala?"
"Qualcosa da ridire? Eccepiamo il Sensee? (si pronuncia Sensee, ricordate? Sensee sì, sensei no!) Ci mettiamo a sindacare?"
"No … ma …"
"Togli la camica e via la gonna. Ti concedo di tenere gli stivali per ora."
"Vabbè, nuda con stivali e autoreggenti, proprio da troia stradale, insomma, grazie … ma … poi mi appendi, vero?"

Manco le rispondo e la guardo, invadente, mentre si spoglia e getta i vestitini sul divanetto, gonna attillata, bottoncini della camicetta (ne ha chiusi pochini, a dire il vero, dopo la sua prima esibizione) slacciati e via anche quella.

Primo piano sulla sua schiena, sul suo sedere, sulle sue gambe, pella bianca inguainata in calze nere, please, lo meritano, vi assicuro! Ok, allargate il campo adesso, azione!

"Quando sei pronta … con il tuo permesso …"

Ironia a non finire, sarcasmo, quasi ... (ve l'ho detto, faccino da "bastardo dentro", e tutto il resto).

Angela, si volta, mi scannerizza e cerca di capire se sto scherzando o se sto parlando sul serio. Decide che sto facendo sul serio e abbassa un pochino lo sguardo. Piccola ruffiana, mi verrebbe da tirarle una sberla, così, giusto per farle un piacere. Ma c'è tempo per il piacere, il suo soprattutto. Il mio, ok, noi Dominanti siamo fatti per servire, si vedrà.

"Dammi i polsi …"

Mi tende le braccia e le lego i polsi, velocemente e senza sbavature. Facile no? Circa sei secondi ed è fatta.

Le metto la corda tra i denti

"Reggi un attimo …"

Fa cenno di sì con la testa … ah, dimenticavo, le culotte le aveva lasciate veramente in borsa, se ve lo state chiedendo.

Apro la sacca delle corde e prendo una benda di seta, naturalmente rossa come il peccato e già collaudata, un paio di volte.

Le sto dietro la schiena, le sposto un poco i capelli, lunghi, tanto, le poggio la benda sul volto

"Chiudi gli occhi"

Le stringo la fascia e annodo dietro la nuca; so per certo che adesso è cieca, davvero e irrimediabilmente cieca.

"Ale, per favore, mi porti tu la borsa e la valigetta?"
"Sì … certo … queste?"

E quali altrimenti? Non è che siamo al lost+found dello scalo di Fiumicino: quelle, certo.

"Sì, quelle, grazie"

Prendo la corda dalle labbra di Angela, giusto per ricordarvi che ha labbra piene e sensuali, parecchio sensuali, strattono un pochino, si parte.

Apro la porta della dressing room, due passi nel corridoio della reception e già i primi sguardi iniziano a friggere la mia "povera" preda, una coppia arrivata in quel momento, lei & lui, sulla cinquantina, vestiti benino e molto carini, tipo coppia-trasgressiva-ma-educata-medio-borghese; serata piena, direi, bene; una tessera casca dalle mani del "lui" e rimbalza sul bancone. Immagino la gomitata della lei dal lieve brontolio del compagno, ferito nell'orgoglio: "ahi, che c'è?"

Buonasera, ben arrivati.

Apro anche la porta del corridoio che Alessandro si affretta (bravo ragazzo) a mantenere spalancata mentro passo con la sua Angela a traino, bendata (ricordate?) completamente nuda a parte le autoreggenti (ricordate?) issata su di un paio di stivali altri (ricordate?) e legata, portata a spasso, cieca e inerme, tra i commenti dei clienti del locale, un venerdì sera "Tuttifrutti" che - ne sono certo - rimarrà nella memoria di molti.

Sfilo davanti al bar e saluto il ragazzo dietro il bancone, Angela appresso.

Pollice in su, e un sorriso dal barman, passo dopo per una tonica senza ghiaccio, grazie.
Nessuno osa toccarla (queste cose al Nautilus non capitano, guai se qualcuno si permettesse di farlo, tessera bruciata per dare fuoco al rogo del contravventore) ma le lingue non puoi mica bondarle, non tutte, almeno.

A dire il vero contavo su questo, giusto per intenderci.

Commenti molto leggeri e quasi educati ma diretti; complimenti a me per l'ottima caccia, un paio di signore che si propongono per portarla al patibolo al posto mio (sì, se ve la do in mano sai quando la rivedo indietro) e un medico simpatico, frequentatore abituale ed appassionato dei miei lavori, che mi chiede se la vendo e, eventualmente quanto costa.
E' pronto a pagarla anche in contanti.

Ci vogliono ancora alcuni secondi di lunga marcia tra gli sguardi e i commenti dei "ragazzi" del Nautilus (e relative "ragazze") prima di arrivare al punto di sospensione che mi sono fatto allestire (non senza qualche parolaccia che non è bene ripetere qui) dall'altro co-proprietario del locale, Luca, la cui mole e il cui portamento non sono per certo un'istigazione alla polemica.

Insomma siamo lì sotto e sopra noi dondola pigramente un trapezio solido e collaudato, sul quale tra poco isserò la mia "vittima sacrificale".

Le persone incontrate lungo la processione per i corridoi del locale si sono avvicinate e prendono posto dinnanzi a noi, sui divanetti antistanti la pista. Aria di sesso, in giro …

"Stai facendo audience, puttanella" le sussurro all'orecchio.

"Che audience ... Una cosina tra amici … " mi risponde lei e allarga le cosce, spinge indietro le natiche.

Le piazzo una manona sulla patata ed esploro tra le sue grandi labbra.

Gronda. Punto. Volete sapere altro? Non credo serva.

Le slego i polsi e li rigiro, un po' vudemente dietro la schiena (adoro rigirare vudemente polsi dietro le schiene) e inizio un classico takate kote gote, due giri intorno alle spalle, abbracciandola e riprendendo la corda da davanti. Poi frizione a x e ancora i kannuki e via per il secondo wrap. Lei si appoggia a me e geme qualche parolina piccante ma ancora deve iniziare a sentire il vero gioco, altro che paroline piccanti; stringo e torno indietro con la corda, la faccio scorrere come un archetto di violino sui giri già tesi e la faccio vibrare fino al ventre. Delizioso contrappunto ad una sonata barocca che il povero Diego è stato costretto a montarmi come colonna sonora della "performance"; sapete quelle cose tutte archi e vibrati in canone settecentesco, quella roba lì insomma, da chiudere gli occhi e sognare di essere in un salotto del diciottesimo secolo, ad uno sputo dalla rivoluzione francese, tra dame con le tette pompate e sontuose parrucche incipriate.

Le carezzo il sesso e stringo l'ultimo nodo, chiudo la legatura e la lascio in mezzo alla pista, da sola e a gambe lievemente divaricate.

Aria sulla IV corda - J.S. Bach mentre le passo la corda di sicurezza tra i due wrap del tk e salgo al trapezio, torno indietro e aggancio per poi risalire al trapezio, ora si può tirare, forte.
La sollevo quasi da terra già così e resta in bilico, le punte degli stivali che sfiorano il pavimento. Nuda (ricordate?), bendata (ricordate?), immobilizzata (questo lo ricordate certamente) e con gli stivali ancora indosso. Un paio di autoreggenti per farla desiderare ancora di più.

Tra il pubblico un mio amico che ama da morire essere sottomesso, visto prima e salutato in volata.

A che servono gli amici?

Ha gli occhi puntati sulla scena che si beve come se fosse l'ultima acqua rimasta sulla faccia della terra, sul seno di Angela, che così appesa sembra essere ancora più pieno, ancora più sfacciato, sui suoi capezzoli eretti, sul suo ventre piatto e … sugli stivaloni.

Lo guardo e schiocco le dita (cafone sono, lo so!) gli indico di avvicinarsi e poi gli stivali.
Ci mette una frazione di secondo a capire. Scatta come una molla oliata e in un attimo è vicino a me.

"Posso … davvero?"
"Se non lo fai ti fucilo!"

Sorride estasiato e s'inginocchia ai piedi della "sua" Dea. Prende la cerniera tra i denti (azz, che raffinato) e l'abbassa, fin quasi a poggiare la guancia al pavimento. E' un virtuoso, sapete? Un vero sub come non ce ne sono più in giro.

Poi prende delicatamente il tallone dello stivale e lo sfila lentamente, godendosi le calze sottili e raffinate di Angela, annusando il piede nudo e deliziandosi dell'odore che riesce a rubare prima che lo richiami all'ordine.

Altro stivale bambino, qui si deve lavorare.

Angela geme un pochino ma, chiaramente, non ha disprezzato il trattamento del mio amico e il lieve massaggio che gli ho permesso di farle alle piante dei piedi.

Donne, ucciderebbero la madre pur di due minuti di massaggio ai piedi.

Continuiamo.

M'inginocchio a lato di Angela, le sollevo un piede in modo che possa poggiarlo sulla mia coscia e le lego la gamba in un futomomo stretto, sicuro, fasciante, polpaccio contro bicipite femorale, tallone quasi alle natiche.

La lascio spenzolare un poco mentre lei cerca ancora di reggersi, povera Angela, fatica sprecata, sull'alluce del piede libero.

Affranco un'altra corda di sicurezza alla parte interna della coscia legata, mi alzo e la fermo alla sbarra del trapezio.

Tocca alla gamba sinistra, stesso lavoro, pochi minuti, mentre l'Aria sulla IV corda ha lasciato il posto ad una Toccata che vibra d'organo nel ventre. E non solo nel mio.
Sulle calze velate di Angela un rivolo di piacere riluccica, illuminato dai faretti della pista.
Le alzo il piede e lego la caviglia, poi due, tre giri di corda, salda e dura, tra stinco e quadricipite, altro futomomo e altra corda di sicurezza.

Angela ora è sospesa, il busto in avanti e le gambe quasi chiuse: giochiamo ai rigger.

Le tiro, una per volta, le corde di sicurezza dei futomomo e piano rilascio quella del busto; piano piano e una mossa per volta si ritrova finalmente sospesa a testa in giù, le gambe oscenamente divaricate, il sesso aperto ed esposto ai miei occhi, agli occhi di chi, volendo meglio guardare, s'è alzato (e alzata) per godersi la scena.

Mi metto in ginocchio vicino a lei

"Tutto bene piccola esibizionista? Contenta?"
"Sei un porco … sì contenta … ma … la valigetta?"

Le tiro uno schiaffetto sulla guancia, se l'è meritato, voi che dite?

"Ti tolgo la benda … "

Così, appesa a testa in giù, le apro gli occhi al mondo che la circonda …

Qui e lì, gente che la guarda, più che altro ci si lima gli occhi, a dire il vero; qualcuno, malamente nascosto dietro una colonna si sta vigorosamente "massaggiando", un po' fuori dalla sua visuale, in un divanetto laterale, una coppia ha iniziato a fare qualcosa di più sostanzioso, mirando come faine alla gallinella appesa al centro della sala.

Le afferro i capelli, li arrotolo in qualcosa che ha la vaga forma di una coda, li stringo alla base e li lego, in un paio di bocche di lupo, poi tiro la corda all'asta di sospensione e tiro, in modo che sia costretta ad alzare, per quanto può, il faccino.

Geme per il dolore improvviso (e non preventivato) che le passa dai capelli alla testolina.
Ma regge.

Piccola masochista algolagnica e oscena. E' adorabile quando "regge".

"Alessando, mi porti la valigetta, per cortesia?"

Il compagno di Angela acchiappa il contenitore, roso anche lui dalla curiosità, e me lo porta.
Che gusto c'è nel tenere ancora il segreto? Meglio confessare la propria colpa, no?

Poggio la valigetta a terra, vicina vicina agli occhi della mia "vittima". Apro ed estraggo una magic wand …

Angela ci mette un attimo a realizzare forma e natura dell'oggetto che le sto presentando.
Geme per cinque secondi interi e si contorce come una viperella.

"No, ti prego, no … ti prego … no, mi vergogno, non con quella, non posso … non puoi!!"

Musica troppo alta, la fuga di Bach mi sta assordando, chi sa che mi ha detto Angela?

Bho??

Accendo la macchinetta infernale e l'appoggio con calma, alla sua passera divaricata, bagnata e aperta come una bocca affamata.

Non vi aspettate che ci voglia molto, sapete?

Pochi secondi, gemiti che si fanno quasi urli, gutturali e profondi, infine una fontana prorompe dal suo sesso, forte e potente, chiara, cristallina, alta.

Angela geme parole senza senso, s'inarca tra le corde, s'irrigidisce e spruzza, spruzza, spruzza, in un orgasmo senza fine, onde su onde, su onde.

Porca vacca!! Speriamo che non mi bagni le corde, puttanella!

Appena lavate e già pronte per tornare in lavatrice, che palle.

Ma sorrido. In fondo mi piace vederla così.

Piano piano si svuota e torna al mondo dei vivi. Si lascia andare in un abbandono senza tempo, sulle note di un adagio.

M'inginocchio davanti a lei, le carezzo il volto sudato, stravolto, esausto.

"Tutto bene?"

Annuisce, deglutisce, annuisce di nuovo.

"Ti tiro giù?"

Scuote la testa, lentamente, persa, vinta, vincitrice.

"Potresti bendarmi? Per favore? E lasciarmi qui? Ancora tre secoli?"

Ecco fatto, quarto periodo.

Il pendolo è fermo.

Fine della storia e tanti saluti ai suonatori.

Magari ci rivediamo al Nautilus, prima o poi ;-) .

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