giovedì 21 luglio 2016

Il Dolore

Mi piace questo appartamento, mi piace perché si tratta di un appartamento vero e non la solita stanza di motel anche se, di fatto, siamo in un motel. Una volta tanto fidarmi del giudizio di un'amica che l'ha provato prima di me non mi ha detto male. 

Evviva! Grazie, ciao.

Quindi l'appartamento mi piace e ve lo farò visitare, più tardi, un pezzo alla volta mentre mi ci muovo dentro.

Per ora siamo, noi - io, voi e lei - nell'ingresso e il corto corridoio si apre su una stanza enorme dal soffitto altissimo. Sulla sinistra una porticina per il bagno di servizio.

Lei, la mia cagnolina, sta giusto mezzo passo davanti al mio naso; le poggio la manona sulla spalla e la  spingo lievemente in avanti - entra, spogliati e sdraiati a terra, faccia al pavimento.

Fa un paio di passi e poi si blocca, tipo pupazzetto con pile esaurite, di botto. Neanche si volta, prende fiato e azzarda ("azzarda" mi piace, mi fa sentire un pericolo pubblico, concedetemi un "azzarda", almeno una volta ogni post, suvvia)

- dove mi metto?
- davanti al divano

Rialza la testolina e va; poggio per terra la borsa nera, gravida di corde, fruste, strumentini di lavoro interessanti e invasivi, finalmente libero del suo peso e del suo ingombro. Il sadomasokit da viaggio, come lo chiamava una fanciulla della mia giovinezza, amante dei tubini neri e ora perduta tra i colli romani. Sì, sadomasokit da viaggio perché se siete sadici davvero, se davvero ci tenete a nutrirvi di dolore e sottomissione, di puro arbitrio sul corpo e sui nervi delle vostre vittime, se siete questo e non semplici "master del pompino" dovete prepararvi a viaggiare, viaggiare tanto, viaggiare sempre. Contare chilometri signori miei, ma tanti, davvero a decine di migliaia.

Vi lascio a pensarci mentre mi lavo le mani nel bagnetto, con calma. Ho guidato tre ore, sapete, la polvere si accumula e questo umido che sa di mare vicino vicino mi lascia addosso quella sensazione di sporchiccio che odio, visceralmente.

Chiudo il rubinetto e asciugo le mani sulla tovaglietta di cotone immacolata. Mi guardo allo specchio e vedo la solita faccia da stronzo, barba sistemata, capelli lunghi e occhi cangianti ai lati di un naso tanto storto quanto aquilino. Jean Reno saprebbe fare di meglio alle tre del pomeriggio, ne sono certo.

Venite un attimo ancora dietro ai miei pensieri. Lei intanto, nella stanzona grande si sta spogliando e appoggia con cura gli abiti sul divano, piegandoli.

S'è già presa non poche sberle per il suo cazzo di disordine, da me. Sbattere i vestiti a destra e manca lo fa quando esce dalle mura domestiche (che condivide con amica tutta-casa-e-chiesa) e va a scopare con il suo fidanzatino. Quando m'impegna per una sessione fa la bambina ordinata e obbediente, senza se e senza ma.

La guardo inginocchiarsi e prostrarsi sul pavimento, davanti al divano, la guacia sul tappeto di gelo delle mattonelle in ceramica beige (orribili queste, unica nota stonata nell'appartamento); un attimo per un sospiro che sa di singhiozzo - fredda la nuda terra, vero? - e poi distende le braccia lungo i fianchi.

Non sono mai stato particolarmente attratto dalla giovinezza per se stessa (un tempo sono stato giovane anch'io, ho una certa nozione di che schifo sia essere perfettamente pronto ad ogni cosa e doversi invece inghiottire l'arroganza dei vecchi che vogliono comandare su tutto) ma lei è davvero una piccola opera d'arte dedicata ai vent'anni. Se fossi uno psicologo la definirei "lo stereotipo della ventenne che incanta i vecchi bavosi". Devo ancora decidere quanto vecchio e quanto bavoso sono io ma lei m'incanta.

Raccatto il sadomasokit (ci avete pensato? Alla storia dei chilometri dico ...) e mi sposto verso il divano, scarico la mercanzia sul pavimento e mi siedo. Sprofondo un poco e piazzo i tacchi degli stivali sulla sua schiena.

Comodo ma, soprattutto, sono tre ore che guido (l'ho già scritto, vero?) e ho i piedi in fiamme dentro questi cazzo di madras pesanti come tagliole. Un po' di relax mi ci vuole, che ne dite?

Schiaccio un pochino sulle costole e lei mugola - come scrivono quelli che sanno rendere l'idea meglio di me - sommessamente.

Carne bianca di cagna sotto pelle nera di cuoio. Presso i tacchi sulle natiche rotonde e sode (si vede che la piccina fa sport estremo) e mi faccio un giro d'orizzonte sul resto della camerona.

La mia amica genovese aveva ragione: uno spettacolo.

Alle mie spalle (questo l'ho visto quando sono entrato) un finestrone enorme davanti al quale c'è il divano che sto usando per poltrire, stivali sulla cagna e manine sulla pancia. Alla mia sinistra una scala ripida di acciaio e legno porta al grande soppalco che ospita letto e idromassaggio.
Dinnanzi ai miei occhi una stanza ampia, ampia quanto basta per esercitare la cagnetta alla nobile arte dell'obbedienza.

Sposto il tacco sulla nuca.

- Comoda?
- Sì Signore.

Deliziosa, adorabile, una voce da angelo. Mi eccita persino un pochino. Sarà che sono un pervertito ma mi piace tanto torturare voci angeliche.

Respiro la prima aria della sessione e chiudo gli occhi. Rilasso i muscoli tormentati da tre ore di guida (l'ho detto che ho guidato tre ore?) e mi porto nel nostro universo fatto di dolore, quello che lei subirà, e di piacere, quello che io le strapperò per me, a frustate, dalla carne nuda ed esposta.

Ma per ora niente di tragico.

Le infilo, sollevandole le gambe come fosse una bambolina inerte e poco costosa, le ginocchiere.

Prendo le corde e le lego con calma le caviglie e le cosce in un futomomo semplice ed elegante. Tre giri tra caviglia e coscia, poi dentro poi fuori e un paio d'incroci per soddisfare i maniaci delle frizioni. Tra le mie mani scorrono corde di canapa nere come il petrolio, con lo stesso riflesso bluastro. Sulla sua pelle iniziano a stringersi i nodi di dolore.

Prima la gamba destra e poi la sinistra e finalmente è impacchettata.

Ora tocca alle mani: le storco un pochino gli avambracci e le infilo i guanti di pelle imbottiti che la rendono una cagnolina senza dita a tutti gli effetti. Belli questi guanti, hanno anche gli anelli per i moschettoni. Ecco fatto, le fisso i polsi dietro la schiena, per ora va bene così.
Avete mai sentito una cagnetta dire "Si Signore?". No, scommetto di no. Le sposto i capelli dal viso.

- Apri la boccuccia tesoro ...

Annuisce e le infilo tra i denti il boccaglio di gomma. Tiro le cinghie dietro la nuca e le sistemo il morso d'acciaio in modo che sia centrato, completo l'opera serrando le fibbie all'ultimo buco. Lascio che i lunghi capelli castani le ricadano sul volto scompostamente. Se amassi fotografare la natura a questo punto una foto ci starebbe pure.

Prendo il disinfettante dalla borsa, ne spruzzo un paio di schizzi sulle mani e strofino ben bene, anche tra dita e dita. Amuchina santa, protettrice dei sadici ipersensibili al SSC, prega per noi.

Comincio ad esplorarla. Non mi sorprendo (e so che voi non sarete sorpresi, sorprese) nel trovarla già bagnata. Le sussurro nell'orecchio che è una troia senza ritegno ma anche lei lo sa; mugola e s'inarca per incontrare la mia mano e farsela sprofondare nella vagina.
Due, tre dita e la sbatto un pochino. Sotto i polpastrelli rughe e morbide isole di carne, quattro dita, rotazioni e controrotazioni, l'ingresso all'utero, il sesso che si apre ancora e diventa caverna, cinque dita, e ora un poco di lubrificante perché da sola non ce la fa.

- Incapace, cagna incapace. Mi tocca sempre aiutarti ...

Mugola, ancora.

Vabbè, ma questa più che mugolare non può fare, così è stata e così ve la racconto. Mica ci sono tanti dialoghi in una sessione S/M, il più delle volte si parla con i gemiti, quando gli occhi non possono dire parole.

Lubrificante e via, la mano entra fino al polso e iniziamo a ruotare. La pompo un pochino ancora e sento la prima contrazione, un urlo soffocato nel boccaglio.

Ennò cara cagnetta, troppo presto per venirmi addosso, per squirtarmi sul pavimento. C'è ancora qualcosa da fare prima.

Estraggo la mano.

Gronda, naturalmente.

Asciugo con attenzione, la suola dello stivale sulla schiena della piccina che spasima e sbava, lasciata a mezzo, e cerca di farsi venire, disperatamente, strusciandosi sul pavimento della stanza.

Ma come cazzo si fa a farsi un pavimento di colore beige? Hai gusti orribili cagnetta mia.
Sgancio il moschettone dei guanti e la tiro su a quattro zampe aiutandola amorevolmente con i suoi capelli stretti a coda di cavallo nel mio pugno.

Arranca e ansima e finalmente è fatta. Le lego la chioma in due vezzosi piggy tail e, finalmente, le metto alla gola il collare di cuoio con tre anelli d'acciaio.

Scatta il moschettone del guinzaglio.

Ora della passeggiata, cagnolina fedele e splendida, ora dei bisognini.

Le infilo nella vagina un vibratorino leggero e delicato (ok, lo ammetto, sono ipocondriaco, prima lo copro con un preservativo. Ma volete proprio sapere tutti i cazzi miei?) che le scuote soprattutto le piccole labbra e l'ingresso del tunnel. Geme e si prepara al peggio.

- Marcia, via!

Mi zampetta accanto già corta di fiato e sbavante. Gocce di saliva segnano il suo percorso circolare nella stanza e le recupero già al primo giro, le calpesto sorridendo. Sta pure sudando e, nonostante le ginocchiere, il passo si sta già facendo greve.

- Sei fuori allenamento puttanella, ti lascio per qualche mese e tu ... niente ... capace solo di farti ditalini e bere birra. Ditalini e birra, neanche un minuto di allenamento.

Guaisce, in modo più che credibile. Bhé ha tutte le ragioni per guaire. Lo sa che ora viene la parte peggiore.

Cerca di riprendersi e darsi fiato con il naso ma qualche lacrimuccia al quarto giro ha iniziato a sgorgare. Solo quattro giri del cazzo dentro una stanza di motel?

- Solo quattro giri del cazzo dentro una stanza di motel e tu già mi crolli? Come pensi che possa portarti alla festa del Nautilus e mostrarti ai miei amici se non sei capace neanche di tenerti per almeno una ventina di giri?

Sta letteralmente tirando aria con i denti e so che le ginocchia le fanno un male cane. Ma va avanti lo stesso.

Il muco le impesta il naso e scorre sul boccaglio. Sbava e geme, il vibratore ancora piantato tra le grandi labbra e lì tenuto con una corda che morde le chiappe.
Altri due giri.

- Trotto ... !

Accenna a due passi, tre, quattro in trotto e poi schianta a terra singhiozzando.

La costringo a girarsi spingendola con la punta dello stivale e le piazzo la suola, ben piantata, sulla pancia.

- Sei pesante cagnetta. Hai bevuto birra prima di venire da me?

Mi risponde latrando sommessamente. E' il suono che per lei (bisogna capirli gli animali, non hanno parola, devi essere tu a saperne interpretare i segni canini) vuol dire "no, no, ti giuro"
.
- Non ci credo. Piscia, voglio vedere la tua urina, adesso. Voglio vedere che colore ha, quanta ne fai, quanta birra ti sei scolata prima di venire qui ...

So che questa cosa ti eccita, piccola troia senza morale, so che adesso stai rischiando veramente di squirtarmi addosso, so che ti sarà difficile pisciare con tutta questa eccitazione nel clitoride.

Lo so ma non me ne frega niente.

Siamo qui e qui staremo fino a quando non ti vedrò pisciare la birra che ti sei bevuta a pranzo, a colazione e forse anche a cena.

Mi guarda negli occhi e capisco che ha capito, da qui non si scappa.

Aspetto con pazienza qualche minuto mentre penso a tante cose interessanti sul prosieguo della sessione. Con pazienza la guardo strisciare verso i miei stivali e poggiarvi la guancia. So che li vorresti lappare fino a farli scintillare. So che adesso veramente ti senti nel ventre la voluttà e la volontà di essere un oggettino creato solo per il mio piacere. Lo so che maledici la sfera di gomma che ti strozza il respiro ma non perché ti toglie aria, solo perché t'imprigiona la lingua.

Inizia, finalmente, a pisciare. Un piccolo getto all'inizio e poi un altro e ancora un altro. I getti diventano flusso e il flusso scorre sul sesso, sull'interno delle cosce, si raccoglie nella pozza tra le gambe.

Poi, piano piano il flusso è rivolo e, infine goccia.

Inarco il sopracciglio destro (non è perché fa fico, io inarco sempre il sopracciglio destro quando sono perplesso) e la guardo negli occhi

- Tutto qui? Solo questo?

Lei mugola caninamente e si fa piccola piccola.

Le accarezzo la testolina, in fondo è stata brava.

- Sù, al piede!

Si rigira e in un secondo è di nuovo a quattro zampe. Le tolgo il boccaglio.

- Pulisci ...

Abbassa la testa e inizia a lappare la sua pipì dal pavimento.

Che ci devo fare? E' stata brava in fondo, va premiata. Le tolgo il vibratore e lo sostituisco con la mia mano. Ora si entra bene nella sua vagina. La caverna è diventata una grotta senza fondo.

Non ci vuole molto. Mentre lappa le ultime gocce di urina viene, gemendo e squirtando un liquido di cristallina purezza.

Viene in un orgasmo arrogante e senza confini e la sento perdersi tra le onde del piacere, navigare prima in cresta e poi in cavo, nell'assoluto nulla del piacere più oscuro, nel piacere intenso della sottomissione e dell'umiliazione.

Aspetto che abbia esaurito la sua pantomima e, infine, le prendo le codine in pugno.

- Sulla scala, a quattro zampe e poi cuccia fino a quando non arrivo. Adesso è il momento della frusta ...

I suoi occhi castani brillano di lacrime e di piacere. La sua carne vuole essere solo aperta, adesso. Aperta ed esposta al mondo. Aperta e violata.
______________

La guardo arrancare sulla scala ripida, a quattro zampe, obbediente e scodinzolante. Ho gli occhi al sul corpo e alla sua fatica mentre poggio la borsa sul tavolone della grande cucina a vista ed estraggo le fruste. Le sento sotto le dita le piccole stronze.

Questa è la bull, manico rigido e cattiveria senza nome. Questa è la snake, flessuosa e velenosa.

Ancora pochi gradini della ripidissima rampa, si fa forza con un sospiro e li affronta con determinazione. Scelgo la snake e prendo anche il flogger nero con le lacinie intrecciate. Nodi in punta per farsi sentire forte e chiaro quando inizia a lavorare sul serio.

Trovo anche la scatoletta del pronto soccorso e acchiappo anche quella. Garze e disinfettante per l’aftercare. Vi avevo detto che sono un sadico ipocondriaco e SSC dipendente, no? Sono sicuro di avervelo detto. Ravano ancora nella borsa, alla cieca, e trovo la sorpresina per la piccina, la caccio nella tasca destra dei calzoni della mimetica e sorrido con un sorriso, che secondo me, è piuttosto “sadicamente” ma per alcuni amici è più “crudelmente innocente”. Vabbè, sorrido e penso che oggi è proprio la giornata giusta per provare sulla piccina un nuovo effetto speciale .

Ora tocca a me arrancare sulle scale.

Non piace punto un cazzo alla mia gamba destra fare le scale, non piace punto un cazzo al mio bacino portarcela e portarsi il femore a spasso ma - che ci volete fare? – mica si finisce sotto una macchina così, per uscirne indenne e felice due minuti dopo. Misuro il mio dolore non cercato, non voluto, non sessualizzabile con il suo che le bagna la fighetta, voluto, desiderato e desiderabile, sessualizzabile.

Vaffanculo, ancora tre gradini e poi la via crucis è finita.

Arrivo sul soppalcato e tiro un sospiro di sollievo molto interiore. Non fare preoccupare la piccina, s’è già preoccupata abbastanza quando ha saputo dell’incidente. Se ora sapesse che, nonostante tutto, mi sono fatto comunque tre ore di macchina per lei sprofonderebbe nella vergogna e nei sensi di colpa.

Stringo i denti, a buon rendere fanciulla, smile.

Poggio fruste e cassetta del pronto soccorso sul letto e mi avvicino.

Sta accucciata, gomiti a terra, in ginocchio e culo in aria. Le carezzo le natiche e la schiena, la sento un pochino rigida e la carezzo ancora, natiche e schiena, ancora e ancora. Si sta sciogliendo. Ritorno alle natiche e da qui alla passera. Ancora è bagnata, di nuovo è bagnata.

Ora di passare alla prossima parte del nostro glorioso incontro.

Prendo il sacchetto che ho in tasca, un piccolo sacchetto in raso rosso. Dentro il sacchetto un oggettino con due cavetti e due morsetti leggeri, un minuscolo ma diabolico “stimolatore” elettrico a corrente continua. Le applico i morsetti alle piccole labbra e provo la prima scarica leggera.

Sussulta e guaisce. Povera piccola. Si aspettava le solite clamp e, invece, oggi si fa sul serio.

- Questo è quello che proverai ogni volta che urlerai, chiaro il concetto?
- Si … Signore

Il fatto è che a me piace farla urlare, vi ho già detto che adoro torturare le voci angeliche ma oggi, oggi e solo oggi, lei non deve gridare. Non l’è consentito tirare fuori la voce per strillare.

Con calma le sciolgo le corde dalle cosce, una corda per volta in spire che si srotolano su spire, con cura e tenendo in tensione ad ogni giro perché ne senta ad ogni giro le vibrazioni. Legare è un’opera d’artigianato ma slegare, a volte, rasenta l’arte. Un maestro di bondage affermava che si riconosce un buon legatore non da come lega ma da come slega. Sarà, ma io mi sono sempre considerato un mediocre legatore e quanto possa essere bravo o meno lo lascio decidere agli altri, alle mie play partener soprattutto, alle dirette interessate, per capirci.

Intanto le ho liberato le gambe ma le lascio addosso le ginocchiere, insomma, anche l’occhio vuole la sua parte di fetish, ogni tanto, e se io ho il fetish delle ginocchiere e degli scaldamuscoli, dei calzettoni a mezza coscia che cazzo ci posso fare? Secondo voi devo farmi vedere da uno strizzacervelli?

-  Su, al piede

Si alza a carponi e resta ferma, immobile come un tavolino da tè.

-   Zampa

Mi porge la mano destra e le tolgo il guanto, poi passo alla “zampa” sinistra. Ecco fatto, liberata. Getto i guanti sul lettone.

-  In piedi

Scatta in piedi, gambe lievemente larghe e braccia dietro la schiena. La costringo ad alzare la testolina prendendola per il mento.

-  Pronta?

Deglutisce un paio di volte.

-  Si … Si Signore
-  Girati e appoggia le mani sulla balaustra

Esegue in silenzio, mica ogni volta deve dirmi “Si Signore”, lo pretendo giusto quando serve, altrimenti si obbedisce in silenzio e chiuso lì tutto il protocollo. Siamo personcine pratiche noi sadici, badiamo al sodo in ogni caso.

Ho la sua schiena davanti agli occhi, le sue natiche, le sue gambe, divaricate come sa di doverle tenere perché i colpi si possano insinuare tre le cosce e colpire il sesso, senza intralci.

Prendo il flogger dal lettone e inizio a riscaldarle la pelle.

Prima con una rotazione leggera, lieve quanto una carezza. Rabbrividisce perché l’aria che spostano le lacinie è ancora freddina. I colpi seguono i colpi e mentre la pelle inizia a scaldarsi il colore bianco immacolato della sua carne vira al rosso. Dieci, venti, trenta “carezze” di flagello e poi inizia la vera danza. Carico il polso e ruoto lo strumento come se pennellassi una parete intonsa. Colore rosso vivo e gemiti di uguale colore. Tinte interessanti, e pensare che questo è solo il riscaldamento.

Chiudo intorno alla sessantina e le carezzo la schiena. E’ calda e morbida, è forte di muscoli e ossa. Brava piccina. Tra le gambe il solito lago che non si asciugherà fino a quando non avremo finito davvero. Tipo due ore dopo essere arrivata a casa, ad esempio.

Lancio il flogger sul letto e tiro fuori il pacchetto di Camel light dal taschino della camicia. Accendo una sigaretta e aspiro la nicotina con gusto.

Ci voleva una pipatina, adesso.

La paglia tra le labbra prendo la snake e la srotolo.
Un paio di schiocchi in overhead per farle capire che ora stiamo salendo sulla giostra giusta e un’altra boccata di veleno per me.

-  Ricordi che non devi gridare?
-  Sì Signore, lo ricordo
-  Conta, conta e non sbagliare o ricomincio da zero, è chiaro?
-  Si Signore

Non ha ancora richiuso la boccuccia e già la prima frustata le arriva, lieve ma precisa, sulla schiena, al centro delle costole, un overhead che le disegna subito una striscia orizzontale da sinistra a destra.

Tiro un’altra boccata di fumo, vado a scuotere la cenere nel posacenere che sta sul comodino e torno, paglia in bocca, alla mia postazione.

-  Non ho sentito contare …
-  Perdono Signore. Uno Signore, grazie.
-  Non dimenticartene
-  No Signore, non me lo dimentico più

Carico ancora in overhead e tiro un altro colpetto appena sotto il primo, un pop sommesso e una riga rossa si disegna di nuovo, a pochi centimetri dalla precedente sulla sua schiena.

-  Due Signore, grazie
-  Respira profondamente, prendi aria
-  Sì Signore, lo sto facendo Signore.

Brava pupacchiotta, è un piacere istruirti, sai? Non glielo dico ma giuro che lo penso davvero, parola di boy scout!

Altro colpo lieve, appena sopra il primo, e altro numero nuovo di zecca per la conta, siamo a tre-Signore-grazie-Signore.

Il quarto e il quinto sono in crescendo ma sempre in overhead, poi il sesto, il settimo e l’ottavo partono con un crack secco che schiocca come fucilata. Le lascio il tempo di riprendere fiato. L’ultimo colpo l’ha lievemente piegata e il gemito è stato appena un poco più alto degli altri.

Raddrizza le ginocchia, aggiusta la schiena in asse e si dispone a prendere il resto.

Le faccio grazia di altri quattro colpi in overhead portati tra il crack e il pop (una colonna sonora davvero interessante quella che si può produrre con una snake) poi riparto alla carica con tre colpi secchi.

Barcolla un attimo e all’ultimo lo strillo esce, con potenza, dalla sua gola. Intanto la paglia è al filtro. Uff!!

Spengo la sigaretta e mi avvicino alla cagnolina.

- Era un grido quello?

Lo sussurro al suo orecchio; deglutisce saliva e annaspa un pochino, giusto quanto basta per soddisfare il mio istinto di sadico.

- Signore, La prego …

Era un grido, quindi, non mi ero sbagliato, entrambi lo abbiamo riconosciuto come tale … sapete, la cosa della consensualità e bimbim e bimbam per me è importante, mica ci passo sopra.

Raccatto dal letto il giochino e le pinzo le piccole labbra, il cavetto della corrente è abbastanza lungo da permettermi di gestire l’intensità mentre la guardo negli occhi. La costringo ad alzare la testolina e parto con la prima scossetta, giusto per assaggiare e saggiare la sua resistenza. Stringe le labbra che si sbiancano dal rosa tenue al cadaverico andante. Attenuo e poi riparto verso intensità maggiori appena riprende fiato. Ogni volta le do modo di scendere dalla giostra per riprendere fiato, con la consapevolezza che al successivo giro ci sarà una nota di dolore in più, un tono più alto di sofferenza.
Resiste qualche minuto stringendo i pugni e poi è resa totale; ha le pupille affondate in un lago di lacrime, il volto già bello ora è semplicemente spendente nella sofferenza. Geme e ansima, infine alza una gambina e si piega, inarca la schiena in avanti mugolando dolore.
Spengo la macchinetta infernale con un click che per lei deve suonare come una sinfonia di felicità, altro che Inno alla Gioia di Beethoven.

-  Gridi ancora?

Sussulta spaventata e inerme, bellissima nel suo collare nero e nuda come un verme tra le mani del suo torturatore. Più di una lacrima dispettosa scorre sulle sue guance.
-  No Signore, non grido più
-  Vedremo

Mi allontano e impugno di nuovo la frusta. Ricomincio con calma in overhead tornando sulle righe che già le arrossano la schiena.

La conta va avanti per altri sei, sette colpi e infine bisogna chiudere. Mi avvicino, frusta in pugno, e le sollevo il volto puntando il pomolo della snake sotto il suo mento

- Ora puoi grattartela, troietta. Ma ti conviene venire alla svelta perché hai a disposizione solo dieci colpi, non di più.

Tira su col naso, che le cola sulle labbra una candeletta di muco cristallino, ma si sforza di rispondere lo stesso

- Grazie Signore …

Non le rispondo, torno in posizione. Calibro la lunghezza della frusta sulla distanza che mi separa dalla sua schiena e mi avvicino di mezzo passo per aggiustare il tiro. Ecco fatto, ora dovrei essere a posto … spero.

Il primo colpo verticale, tipo cattleman, schizza in avanti, cattivo e senza remissione, lato destro della schiena e schiocca scintille di dolore. Non urla quando il cracker taglia ortogonalmente le linee orizzontali degli overhead precedenti. Semplicemente piega le ginocchia e il bacino come se avesse una sedia sotto il culo sulla quale sedersi è l’unica cosa importante di tutta la sua vita. Le dita della mano destra che fino a qualche secondo prima carezzavano il clitoride ora stringono convulsamente la balaustra del soppalcato.
Fa tutto questo, tira aria come un mantice ma non urla.

- Continua a grattartela o non fai in tempo a venire, scema …

Riporta immediatamente la mano alla passera e ricomincia a carezzarsi, allarga un poco le cosce e riprende posizione

- Uno Signore, grazie

Il secondo e il terzo colpo seguono la stessa traiettoria e aprono altre righe quasi verticali. Agli incroci tra stria e stria si stanno manifestando le prime esudazioni di sangue, goccioline minute ma visibili fin da dove mi ero piazzato, rosso rubino, rosso dolore.

Altri due colpi al lato sinistro della schiena e le concedo un attimo per darsi piacere senza dolore. Mi chino, punto un ginocchio sul pavimento e riparto con calma con altri due colpi overhead che le arrossano le natiche da sinistra a destra.

Ora le sue carezza sono frenetiche, ansima e rantola ma ancora conta, la voce roca di un angelo caduto che ancora spera, pregando, di tornare al suo paradiso.
Tre frustate alle natiche, vicinissime una all’altra, distanziate nel tempo per darle il suo tempo.

Non è un caso se il primo schizzo di squirt imbratta il pavimento dinnanzi a lei quando la penultima frustata le percorre le natiche. Non è un caso se viene gorgogliando un “dieci, grazie Signore” che ormai è automatico riflesso di salutare obbedienza, proprio alla decima frustata. Lei con la testa non è più qui, è altrove e, dove sta, sta pure bene.

Beata lei, a me un po’ la spalla fa pure male, vaffanculo!

Mi rialzo in piedi e la guardo venire, ginocchia piegate, schiena inarcata, una mano alla balaustra, nocche sbiancate, e una tra le cosce.

Le poggio la mia manona sulla schiena e assaporo i suoi ultimi sussulti, i suoi ultimi singhiozzi. Aspetto che abbia la forza di sollevarsi e, tenendola per un braccio, sostenendola, la porto sul letto, pancia in giù.

Aspetto che termini la marea di emozione e di piacere, aspetto con calma e, infine, prendo garze sterili e disinfettante. Ora delle “cure mediche”, piccola peste. Ora di qualche coccola.
Le pulisco la pelle intorno ai nodi dai quali il sangue è venuto a giorno e poi, con attenzione, passo a ripulire le ferite aperte. Un compito minuzioso da infermiere, mica si può lasciare che gli abiti facciano il lavoro sporco d’infettare, non è carino, per niente.

Lei respira con una calma ritrovata, mentre sto per finire allunga una mano sul mio ginocchio e stringe con forza.

Piange, piange prima piano e poi sempre più forte, sussultando e gemendo.

Piange tutto il dolore che non è riuscita a piangere in questo mese di sofferenza, nel mese intero passato da quando il suo “fidanzatino” l’ha mollata perché lei era “troppo avanti”, troppo “lei” per essere tollerata e il momento in cui ha potuto, finalmente scaricare ogni colpa tra una frustata e un’altra, ripulirsi l’anima da colpe che non ha mai commesso ma che le pesavano tanto nel cuore da chiudere anche i rubinetti degli occhi.

A volte il dolore del corpo è l’unico modo per combattere e vincere il dolore dell’anima, per tornare a respirare senza il polmone d’acciaio e tornare a vivere senza stampelle.

A volte.

A volte neanche quello basta.

Mentre la macchina fila verso casa sua lei è accoccolata sul sedile del passeggero e fuma un drum appena rollato. Guarda fuori dal finestrino e, quasi, sorride.

-  Tra un paio di chilometri c’è un autogrill, vieni con me a prendere un caffè

Mi guarda come se fossi un alieno.

-          Posso? Davvero posso? – indica col ditino il collare nero che ancora le stringe la gola – e questo?

- Lo tieni addosso … anche quando riparto te lo tieni

Credo di non averla mai vista sorridere così apertamente fin da quando la conosco. E’ una primavera, la piccina, una primavera con la schiena martoriata e l’anima finalmente leggera.

Metto la freccia e svolto a destra nella piazzola dell’autogrill. Parcheggio e spengo il motore, tolgo gli occhiali scuri ed estraggo la chiave dal cruscotto.

-  Signore, prima che andiamo posso chiederle una cosa?
-  Prova, magari ti rispondo anche
-  Davvero mi porterebbe ad una festa e mi mostrerebbe ai suoi amici? Come cagnolina, dico …

Il sole è al tramonto, ormai, e – in fondo – un po’ anch’io mi sento come una giornata, magari bella ma arrivata alla fine delle cose importanti da fare. Delle cose importanti già fatte.

Ne mancano davvero poche.

E la piccina è una delle poche che restano.

- Vedremo, - le rispondo aprendo la portiera – vedremo

Il mare mi strizza l’occhio e una petroliera, all’orizzonte, danza sul filo della sera.

-  Vedremo.

Nascondo il mio sorriso uscendo dalla macchina ma sono sicuro che la puttanella l’ha visto anche se avevo la faccia rivolta altrove, al mare, al sole, alla petroliera che danza sul filo della sera.

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