domenica 18 dicembre 2011

Mi casa es tu casa

Una giovane donna. Ecco come gli altri t'hanno vista mentre salivi le ampie scale del palazzo. Una giovane donna, certo, una bella donna, alta, con un seno importante, questo hanno visto di te. Questo ha visto di te, soprattutto, il portinaio. Una giovane, bella donna con pantaloni di lino e una maglietta chiara aderente, fin troppo aderente, questo di te ha visto la vedova inconsolabile del primo piano, quella che veste a lutto da vent'anni per nascondere sotto il nero funebre un'anima oscura come la morte stessa.

Un profumo intrigante, una scia di desiderio mista ad una promessa, un'aura di sensualità che chiama al peccato. Un profumo raffinato e seducente sul profumo ancora più intenso, voluttuoso e afrodisiaco d'una pelle giovane, fresca, morbida, d'accarezzare, da mordere, da dilaniare. Questo di te ha sentito il mio vicino di casa, oltre la porta eternamente sbarrata che separa lui dal mondo, il mondo dal suo terrore di viverlo.

Abbassi la maniglia, spingi ed entri a casa mia, entri sicura nell'anima ma titubante nei gesti perchè non conosci nulla del nuovo e inesplorato territorio, del mondo di cui ho voluto fornirti, si è sadici per qualcosa, solo una mappa sommaria, sommarie istruzioni, sommarie e generiche informazioni. Ti seguo, seguendo con la mente i tuoi passi e so, so che stai cercando una colonnina in marmo, una porta a volta, un lungo corridoio oltre la porta a volta, un'altra porta che si apre a mezzo del lungo corridoio.

La semioscurità della stanza, il controluce della poltrona sulla quale sono seduto e i raggi che filtrano dalle persiane chiuse. Questo probabilmente vedi appena entri nella nuda e grande sala, quasi un loft, che ti ho riservato, che riservo alle mie nuove amiche, ai miei nuovi amori.

Sei, semplicemente, bellissima. Una donna completa, affascinate, femminile, giovane, sicura del tuo mondo, sicura di te.

- Buongiorno, eccomi ...

Mi chiedo cosa stai veramente provando nel tuo cuore, se nella tua anima limpida si stia agitando, ora, un desiderio d'annullamento o la morbosa curiosità di te stessa flagellata o la paura o l'eccitazione sessuale o la tensione dell'attesa. Mi chiedo se davvero è la tua prima volta, se hai mentito, se hai raccontato di te, come molte fanno, solo quello che, di te, vorresti si raccontasse.

Mi alzo, la frusta in mano. Ti ho dato modo di scegliere, tuo diritto, tra una bull lunga e guizzante, nera come i peccati che mai confesseremo, e una target marrone, ancora più lunga, simile a quella vista tante volte nei film d'avventura, precisa, puntuale, inappellabile, cattiva come la tempesta. Tu ha scelto la bull, saggia ragazza, mi hai scritto che la preferivi nera, che il nero è il colore principe del tuo sadomaso. Tante volte nella vita facciamo cose giuste per motivi sbagliati ma questo è un particolare che ti racconterò più avanti, forse, molto più avanti.

L'aria tra noi s'è fatta densa, un metro scarso di melassa, un metro scarso d'emozioni che grondano dall'anima al ventre in lente, snervanti e deliziose promesse di dolore e piacere, contrastanti e stimolanti sensazioni, pelle che brucia di fredda paura, pelle gelata dall'intenso e scottante calore del desiderio.

Ti metto le mani sulle spalle e ti guardo negli occhi verdi, verdi come come posssono essere verdi solo gli occhi d'una giovane donna in attesa della sua punizione, del suo desiderio coccolato da mesi, da anni, nel silenzio assordante della sua camera, tra lenzuola che frusciano inascoltati, inamidati, inondati, rimproveri.

La frusta ti sfiora il viso e tu ne aspiri l'odore forte di pelle e di olio, il profumo intenso che ti parla di altre sofferenze, di altre donne, di altri gemiti, di altri corpi che tu non ha visto, che non conoscerai mai.

- L'hai già usata?

Sai che non ti risponderò e un brivido ti scorre la schiena, rapido ma evidente. E' il contrastante sentirsi una delle tante e nel contempo speciale; l'ennesima ma nel contempo l'unica presente, viva, reale, al mio cospetto, nella mia anima, nella mia mente.

Assapori in quel brivido il tuo corpo che si sveglia, assapori nei miei occhi il mio desiderio e, finalmente, abbandoni il passato oltre la porta, frantumi il futuro nell'eccitata voluttà del presente e sei pronta a darti a me, al mio volore, al mio piacere.

- Sfilati la maglietta e poggia le mani ai lati dello specchio.

Sulla parete un alto specchio riceve la tua immagine, la tua forma, i tuoi occhi scintillanti e attenti, i tuoi gesti offuscati d'emozione, d'attesa, d'eccitato timore. Ti rifletti in esso e ti perdi nell'immagine di te stessa come in un sogno, come in allucinata e morbida ovatta di lucida, calda follia. Sfili la maglietta  e la lasci cadere a terra, ai tuoi piedi. I tuoi seni mi chiamano, ti chiamano, insolenti e reclamano la mia, la nostra, attenzione. Sono così attraenti ed eccitanti i tuoi capezzoli eretti, minuti, le areole disegnate in cerchi precisi, la curva delle mammelle piene, scolpite dalla fantasia perversa d'una madre incomprensibile che dona tutto o niente, che alcune riempie mentre ad altre toglie senza badare né a spese né a reclami.

Ti appoggi, obbediente, le mani ai lati dello specchio, il sedere lievemente in fuori, il busto lievemente chinato in avanti e mi guardi riflesso, e io guardo te, dinnanzi a me a tua volta riflessa e presente. Lievemente tremi e di questo tremito che non puoi controllare mi nutro come di miele prima d'un pasto pieno e abbondante. Le natiche disegnano nei pantaloni di lino, tessuto leggero fatto per svelare, simmetrici globi di desiderio, simmetriche voluttà di piacere. T'allargo un poco le gambe usando il manico duro della frusta, ti spingo un pochino il sedere in dentro perchè il busto si alzi di qualche centimetro. Il tuo respiro si fa più rapido, i tuoi occhi accennano una risposta, una preghiera, un ringraziamento. So che ti piace essere trattata così, essere posizionata, essere guidata, essere centrata da mani esperte, da mani che non conoscono indugi, perplessità, dubbi. Mani che non conoscono pietà.

Mi allontano, arretro d'un passo e tu mi segui con pupille dilatate. Respiri alla soglia del gemito, respiri sulla soglia del desiderio, nell'atrio della paura. Ora so che non avevi mentito, respiri ora la tua prima volta e forse tu non lo ricorderai ma io, in eterno, conserverò nell'anima il tuo respiro come fosse mio.

L'alto soffitto della stanza accoglie il giro elegante della frusta, il suo volteggiare nella lieve calura d'un pomeriggio estivo, nei lievi intarsi di luce e calore che scaldano anima e corpo, mente e pelle.

Non c'è fretta, non c'è bisogno d'iniziare con forza, con crudeltà. Per quello c'è tempo. La frusta volteggia ancora un paio di volte e poi scende a carezzarti le natiche, sui pantaloni di lino. Poco più d'uno scherzo tra noi per alleggerire il fardello, troppo pesante, della tensione, della tua tensione.

- Il lino non si stira ...

Protesti.
Sorridi.

Sorrido.

- No, però c'era un piega che mi dava fastidio, sai l'estetica è tutto quando frusti.

- Solo l'estetica?

Il tuo volto corrucciato e infantile nello scherzo mi scalda il cuore. E' davvero bella la tua anima, è davvero intensa la tua aura. Ma quale donna non è bella quando si sottopone alla frusta? Quale anima non è splendente quando fa a sé stessa, e a me, dono del suo dolore, del suo piacere?

La frusta rotea in un ampio semicircolo e colpisce sotto la spalla destra senza schioccare, per ora. T'inarchi un poco di lato, inconsciamente il dolore ti muove i muscoli, t'obbliga a piegarti.

- Stai ferma ...

Un attimo di silenzio, ti ricomponi.

Decidi che puoi osare:

- Sì ... padrone.

Sei titubante, ma già l'eccitazione ti sta prendendo la mano, ti sta trascinando dove tu stessa non sapevi di poter arrivare. So che ti stupirai di quanto facile può essere il passaggio dall'io al dono di sé, so che ti stupirai di quanto facile può essere varcare la soglia della sottomissione quando è questo, alla fine, che si desidera più di tutto al mondo.

Il terzo colpo è sotto la spalla sinistra, pure questo senza schiocco. Vedo che volentieri ti piegheresti ancora, ancora il tuo corpo vorrebbe moversi, flettersi, consolarsi, cullarsi, curarsi del dolore ma resisti. Così t'è stato ordinato e così farai, così farai sempre, per tutto il tempo.

Lo so.

So che sei brava.


Arrivano uguali e simmetrici, uno per ciascuna spalla, il quarto e il quinto colpo. Pian pian m'abbasso con la mira e mi sposto verso il centro della schiena, ancora a distanza di sicurezza dalle vertebre, sono dure e resistenti loro, molto forti rispetto una frusta creata solo per deliziosi e perversi supplizi, ma non si sa mai e, soprattutto, non voglio che tu abbia paura di nulla, che nulla turbi la bolla di silenziosa magia che ci sta avvolgendo, che sta fermando il tempo dentro noi, che sta creando per noi un universo senza inizio e senza fine.

Il primo colpo dato con uno schiocco, un secco strappo all'immobile continuità dell'aria, ti estorce un gemito che sa quasi di pianto. Non subito, non all'istante, qualche secondo dopo, senti con forza la forza del dolore che assedia i nervi e strira i tendini. Ti lascio il tempo d'assorbirne il gusto metallico, acre e forte; ti guardo, oltre lo specchio, inghiottire un paio di lacrime. Sulla tua schiena un primo segno rosso solca la pelle bianca.

Quel solco scorre lungo la via di non ritorno.

Se non sei saltata ora, se non hai, ora, preso la maglietta urlando vuol dire che siamo riamasti amici, che la frusta è ancora tua amica.


Un bel terzetto di squinternati a dire il vero, ma di questo non ho voglia di parlare, ora.

Ancora due colpi schioccanti, un terzo e un quarto. Ti lascio sempre il tempo tra uno e l'altro d'assorbire, registrare, gustare e contrastare il dolore, assaporarne il colore intenso, sentirtelo nella testa quasi intollerabile e poi sentirlo scivolare via mentre dentro di te sale forte, sale inarrestabile, l'eccitata selvaggia comprensione di essere riuscita a vincerlo, di averlo trasformato ancora una volta in ...

M'avvicino, la frusta arrotolata nel pugno, e tu ti volti, mi mostri il tuo viso radioso d'eccitazione. Ti poggio la mano sulla spalla, sei calda, bollente, liscia, eccitante, bella, bella, bella. Mi guardi, le tue pupille cercano le mie, i tuoi occhi cercano i miei e quando li trovano, quando ci leggi quello che ti serve abbassi le palpebre, carezzi il dorso della mia mano con la guancia, lo baci, lo lecchi. Non smetti mentre ispeziono la sua intimità tra le gambe, insinuandomi sotto l'elastico dei pantaloni leggeri leggeri, sotto il sottile tessuto degli slip, fino al tuo sesso, oscenamente aperto, grondante desiderio e intima, celata lussuria.

Non smetti di baciare e leccare mentre ti masturbo, mentre ad occhi chiusi ti godi, sgualdrinella senza ritegno, questa minimo anticipo di piacere che arriverà, dopo, copioso, intenso, profondo fino ad essere quasi (quasi) intollerabile.
 
- Ancora padrone, ancora ... ti prego.

Sì, la frusta qualche volta fa questo effetto. Lo ammetto. Qualche volta la frusta eccita, soprattutto se chi la usa sa farlo decentemente, soprattutto se chi la subisce la ama, la desidera, la fa sua, la implora e la trasforma, colpo dopo colpo, in grazia, piacere, estasi, eccitazione dei sensi, cibo per l'anima affamata, ambrosia per il cuore assetato.

Piano, senza strapparmi da te ti lascio ancora a te stessa ma sai, ora, che sono con te; ora sai di non essere sola anche se tieni chiusi gli occhi e vaghi in terre sconosciute, in deserti accecanti di dolore e desiderio, dolore e piacere, dolore e scintillante nulla.

Frustate intense, frustate sempre più dure e tu gemi, gemi, gemi ma non strilli, non supplichi di smettere, non chiedi pietà. Assapori nel tuo universo questo piccolo miracolo di vita, ne succhi con forza l'inaspettata bellezza, ne godi, ne gusti ogni colore, ogni sapore. La schiena rigata in alcuni punti s'è aperta, in superficie soltanto, soltanto in piccoli tagli appena accennati ma già così sufficienti perchè piccole, rosse, splendenti gocce di rubino, sottili gocce di sangue scivolino lungo la pelle immacolata, verso la curva sfacciata delle natiche.

Eccitante e ipnotizzante il potere, ipnotizzante il controllo e l'arbitrio su di te, sulla bellezza, sull'universo.

Ipnotizzante ma non abbastanza per scagliarmi oltre i limiti.


Smetto. E' anche fin troppo per una novizia, anche se così ben disposta.

Ancora una volta assapori la mia pelle, il tocco delle mie dita sul tuo sesso. Sto dietro di te e gioco con i tuoi capezzoli, li torturo un poco, giusto un secondo, giusto al limite del gemito, ti trattengo, ti lego a me con un braccio intorno al busto, la mano poggiata sulla tua gola in un rituale di possesso, di vita e di morte antico come la razza umana, come i nostri antenati, come i rettili che ci hanno preceduto, antico come il respiro stesso della terra. Ti masturbo, pochi secondi bastano, carezzandoti il clitoride, lievemente, e lievemente aprendo le grandi labbra con delicata attenzione.

Il tuo orgasmo arriva presto e ti trasporta oltre il soffitto pur alto della stanza, ti scaraventa a testa in giù verso il cielo, ti catapulta in universi d'estasi. Il piacere contrae e scuote il tuo corpo liscio, sudato di piacere, profumato di lussuria; scuote i tuoi nervi e i tuoi tendini, i tuoi muscoli, la tua essenza stessa  in sussulti intensi che dopo averti smembrata pian piano si calmano, uno all'altro lasciandosi come testimone il tuo corpo sempre più fragile, sempre più debole e arreso. Quando anche l'ultima contrazione svanisce nell'affanno del passato piacere ti lascio scivolare pian piano a terra, ai miei piedi, seminuda e sfinita, vinta e vittoriosa. Una mano, la tua mano sulla frusta e una mano, la tua mano, tra le gambe, le tue gambe, sul centro caldo e palpitante della tua intimità, del tuo intimo appagamento, della tua lussuria che sotto il tessuto s'allarga in un lago di grondante felicità.

Lascio che ti riprenda, in secoli di lenta risalita dal cielo più profondo.

Lascio che ti alzi da sola, giusto aiutando il tuo corpo senza sfiorare l'anima sensibile e tesa, ancora sguarnita di ogni difesa.

Nei tuoi occhi un universo di domande, risposte, altre domande.


Ti stringi a me e io t'abbraccio. Così deve essere, così e non diversamente.

Ci vorrà un po' di tempo prima che tu sia di nuovo capace d'affrontare il mondo lo so. Le frustate non sono mai poche, per nessuno, non dopo che l'eccitazione è scesa sotto i talloni e il corpo riprende il controllo su sé stesso leccandosi le ferite inferte dalla mente.

Per ora goditi il dopo, la pace, la sensazione che tutto è stato bello, goditi il dolore che piano torna ad esigere la sua dignitosa funzione, il calore d'un corpo, il tuo corpo, che per ora è tornato proteggerti da tutto, è tornato ad essere tuo nel piacere più intenso, tuo, nel più intenso soffrire.


Non alzi lo sguardo, non ti muovi, semmai ancora più forte ti stringi e sussurri la tua prima, unica, ineludibile, richiesta

- Posso restare? ... Ancora un po' ... Almeno?

Non c'è neanche da chiederlo, tesoro.

Mi casa es tu casa.
Per ora.

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