domenica 11 dicembre 2011

Oscenità


Secondo la sacerdotessa della letteratura erotica di fine (e inizio) millennio Isabella Santacroce o un'adepta di questo nuovo culto del non culto, non ricordo bene, osceno è ciò che viene offerto senza veli, senza maschera alle scene, allo sguardo, al desiderio o al disgusto, poco importa. Ho trovato osceno il mio volto in qualche momento della mia vita, oscenamente esposto al mio sguardo, in questo senso, oscenamente nudo in uno specchio che mi urla gli anni passati nel nulla.


D'Isabella ho letto solo qualche testo nei suoi innumerovoli blog e, per caso o per scelta, non ricordo, VM18. Di nessuna parola, di nessuna situazione in particolare conservo memoria, forse perchè non è nel gioco degli eventi che la Santacroce mi attira ma nell'assoluto nulla dei suoi pensieri, un osceno nulla che tanto assomiglia al mio.

Osceno non è solo l'oggetto dell'oscena esposizione di ciò che natura e sentimento vorrebbe celato, dignitosamente ricomposto sotto il sudario, intravvisto nella penombra, mai illuminato a giorno. Osceno è anche il sentimento che dall'esposizione ne deriva. E' oscena la figura sensuale di giovani ninfe che offrono amorosi amplessi a decrepiti esseri, la grassa frivolezza della femmina che, cadente nei seni e nel sedere, gonfia d'anni, s'adagia tra le braccia d'amorevoli bisturi. E' oscena la rivoltante smania di essere nell'anima ciò che nel corpo non saremo mai, di sporcare ancora un'altra parte di cielo millantando d'aver diritto a insozzare con il nostro fiato pesante di morte incipiente la lucida cromatura della vita.



Di tutta questa oscenità io a volte mi sazio, nel pensiero e nell'azione cercando nellla melma qualcosa di ancora più osceno, più scandaloso da mostrare a me stesso, alla mia voglia di affondare non solo le mani e le braccia nel fango della vita ma anche le palle, il cazzo duro, le chiappe cadenti e le mie gengive sanguinanti di spazzolino e dentifricio al fosforo attivo, un toccasana per la placca.

La nostra vita progammata e articolata, i conti del dentista, Isabella Santacroce, le sue adepte, i suoi detrattori e ammiratori, gli insulti e le sinuose, insinuanti, lusinghe  della diversità si compongono oscenamente sulla scena della mia mente e della mia follia portandomi addosso un desiderio vivo di distruzione e una serena, velenosa, consapevolezza: non potremo mai fuggire, siamo prigionieri, lei ed io, lei  e altri sei miliardi di persone, io e altri sei miliardi di persone, nella stessa vita, nello stesso universo, nello stesso tempo. Niente di ciò che facciamo può salvarci dall'offrire alle divinità l'osceno spettacolo del nostro sbavare e affannarci per afferrare una bricciola in più d'eternità.

Siamo qui per offrire di noi, a noi stessi e all'universo, osceno spettacolo della nostra incompiuta esistenza.

Se vedete Isabella salutatemela, è così oscenamente delizioso pensare a lei.
Ora.

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